«In Italia concepiamo solo due generi di fiction: quella di puro divertimento, consumo, distrazione e quella edificante con eroi, preti, giudici, santi... Rivolta al passato. Entrambe sono destinate ai circuiti delle reti generaliste. In America, soprattutto con la pay-tv, si sta affermando una fiction che addirittura prevede e interpreta il futuro». Carlo Freccero, uno dei maggiori esperti del piccolo schermo, ha assunto la direzione artistica del RomaFictionFest, la cui ottava edizione (che sembrava in forse) si svolgerà all’Auditorium Parco della Musica dal 13 al 18 settembre.
Ha le idee molto chiare l’ex direttore di Rai 2, che dai primi anni Ottanta ha navigato in varie reti. Boccia subito serie e miniserie nostrane: «Io non do pagelle, dico solo che le reti che producono fiction sono soprattutto quelle generaliste, le quali propongono telefilm arretrati che pescano nella memoria di un pubblico attempato, che si rifugia nel ricordo dei tempi andati. Invece ci sarebbero mezzi e autori per produrre un nuovo genere di prodotti per altro pubblico. Ci sta per esempio provando Sky: prima con “Romanzo criminale” e ora con “Gomorra”, che sta avendo successo in tutto il mondo perché lavora su un linguaggio diverso, con una mise en scène cinematografica... Insomma — precisa — non boccio i prodotti, semmai boccio Rai 1 e Canale 5 che non sperimentano con i bravi sceneggiatori che pure esistono! Io — rivendica con orgoglio — produssi il primo Montalbano su Raidue».
Una carriera movimentata e a volte burrascosa, quella di Freccero: «Il problema è che la fiction italiana è bloccata dalla censura — incalza —, non si possono trattare certi temi considerati tabù: siamo in un Paese cattolico bigotto». Si mostra agguerrito, per far rinascere un festival da molti considerato moribondo: «Non mi aspettavo questa proposta che forse mi è stata fatta per disperazione, perché nessuno l’avrebbe accettata: mi chiamano sempre all’ultimo momento! — ci scherza su —. Ho il compito di resuscitarlo e, da quando sono stato chiamato a dirigerlo a quando lo condurrò in porto, ho solo 40 giorni di tempo. È una scommessa, ma non mi preoccupa: sono riuscito a mettere in piedi canali tv in sei mesi, figuriamoci se non riesco a creare in poco più di un mese un programma del genere, che vorrei più lungo di almeno un paio di giorni, fino al 20 settembre. La questione, semmai, è sapere quanti soldi ci sono! Mi hanno già detto che ce ne sono pochi, ma neanche questo mi spaventa: sarò in grado lo stesso di mettere su un palinsesto alla grande anche senza soldi».
Promossa dalla Regione Lazio e organizzata dall’Associazione produttori televisivi, la manifestazione è una vetrina di produzioni nazionali e internazionali, con tanto di pink carpet dove sfileranno star e starlette per la gioia dei giovani spettatori con la febbre da selfie compulsivo. «Ho appena preso in mano la situazione — spiega Freccero —, quello che posso anticipare è che voglio tre sale: una per i telefilm statunitensi, che ormai fanno concorrenza al grande cinema; l’altra per produzioni italiane ed europee con una particolare attenzione a queste ultime che, a mio avviso, soprattutto nel Nord Europa, sono molto aggiornate rispetto alle nostre; la terza interamente dedicata a tavole rotonde e seminari, perché lo scopo di un festival del genere è prima di tutto capire dove sta andando, come sta evolvendo la fiction. Ho deciso che ci sarà una serata dedicata al “political drama”, in cui proporremo la prima puntata della serie-cult danese “Borgen”, che racconta la storia del primo ministro donna in Danimarca, e la serie di Sky “1992” su Tangentopoli. Poi mi piacerebbe una serata sugli psicopatici nei telefilm». Tipo «In Treatment»? «No! Penso a qualcosa di molto più forte!». E il neodirettore è sicuro che, sulle sue scelte, avrà carta bianca: «Non possono pormi dei paletti, gestisco una situazione in emergenza e perciò avrò più libertà».
di Emilia Costantini
per "Corriere della Sera"
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